Oggi, 2 aprile, a Châtillon, alle esequie di Cesare Dujany ci sono stati momenti di appartenenza, di rispetto, di richiamo ai valori che lui stesso rappresentava fisicamente, per storia personale e per carattere.
Sapere che c’era, per quanto anziano, era rassicurante, ed è difficile accettare la sua scomparsa. La memoria resterà viva, troppo forti la storia, la dimensione politica, la tenacia e la particolarità dell’uomo. Oggi è riemersa nei racconti di Luciano Caveri, del sindaco di Châtillon, Tamara Lanaro, e in quelli privati che si ascoltavano camminando, che rievocavano episodi belli e sempre speciali. Con Adolfo, che nella sua famiglia ho conosciuto meglio, ne ho condivisi alcuni, con commozione e anche gioia.
Per fortuna, oltre alle memorie personali, resterà il ricordo del suo pensiero e del suo lavoro nel volume autobiografico “Liberi”. A Giacomo Sado dobbiamo riconoscere il merito di aver fermato su carta un patrimonio politico e umano che resterà per i tempi futuri.
Due tratti fondamentali di Cesare Dujany sono stati ricordati con limpidezza nell’omelia del parroco di Châtillon, don Andrea Marcoz. Li potevamo trovare riuniti nei ricordi e nelle esperienze che erano nei pensieri di tutti.
Il primo è lo spirito di ricerca.
Dujany ha sempre letto, fino agli ultimi tempi da uomo centenario, ha sempre incitato a studiare, capire. Faceva domande, si confrontava, con un’arte dell’ascolto intelligente, stimolante. Lo faceva con umanità e semplicità, con umiltà e forza intellettuale, durante e dopo una carriera politica nazionale e regionale straordinaria. Riceveva la mattina i giornali – anche il cattolico La Croix – discuteva i temi del presente con una rete significativa di persone, anche giovani.
Dal suo salottino in cui dialogava con gli ospiti si alzava per prendere un libro o un articolo, proporlo, chiederne un commento. Aveva il pieno senso dei problemi attuali, che trasmetteva con una capacità di sintesi garbata ed esploratrice. C’era in Dujany un bisogno di competenza e di conoscenza come base dell’azione privata e politica. Ha svolto per decenni e fino a poco fa un’opera di formazione continua e ampia, per sé e verso gli altri, seminando, discutendo e promuovendo idee e valori. Un messaggio di ricerca e di sapere per agire – nel privato e nel pubblico – con competenza critica e in continuo aggiornamento. Un messaggio forte per questi tempi così sbracati, insufficienti, irresponsabili.
Il secondo è nella visione positiva.
C’erano in lui ottimismo e capacità di guardare oltre le difficoltà e gli ostacoli, insieme con realismo e tenacia. La ricerca della soluzione – quella praticabile – dava sempre qualche frutto. Anche nell’ultimo decennio, in cui il suo giudizio sulla Valle era preoccupato e grave, lavorava sulle piste, credibili e possibili, che potessero modificare le tendenze principali, sulle politiche della montagna piuttosto che sugli equilibri politici.
Questo atteggiamento positivo e concreto si è trasmesso nelle molte relazioni che ha avuto. Anche Cesare Dujany ha partecipato e influenzato il cambiamento che stiamo attraversando, più di quanto si possa immaginare: promuovendo un insieme di valori e guardando al mondo che sta davanti, nel futuro. Per quanto fosse fonte di preoccupazione, c’era sempre qualcosa che realisticamente si doveva e si poteva fare, una strada da percorrere.
C’erano in Cesare speranza, senso di libertà e di apertura, una comunità di valdostani che si conserva anche nelle difficoltà e che va avanti.
Lo si è sentito, al momento dei saluti più difficili, quando si è intonato Montagnes valdôtaines a voce bassa, senza retorica. Poco dopo, si sono sentite le note dell’Inno alla Gioia.
(2 aprile 2019, alla sera)