È un mezzo terremoto per la Valle d’Aosta. In una Regione in cui le forze autonomiste raccoglievano il 75% dei voti, nel collegio uninominale unico per il Senato è stato eletto a fatica l’unionista Albert Lanièce mentre alla Camera ha vinto Elisa Tripodi, per il M5S. Le forze autonomiste potrebbero scendere sotto il 50% alle prossime elezioni regionali di maggio e perdere la capacità di formare un governo da sole. Si potrebbe concludere un’epoca intera, che dura dagli anni Settanta del secolo scorso.
Sono state elezioni di adeguamento al panorama italiano, e molta della diversità valdostana è andata perduta. Il risultato di M5S, ma anche della Lega, segna un malessere profondo, una rabbia e una domanda di cambiamento. Sono bisogni contingenti, di una crisi che in dieci anni ha visto il bilancio dell’Ente regione perdere il 40% del bilancio, il Pil scendere dell’11 % senza riprendersi, l’export calare del 34%. I valdostani hanno scoperto la disoccupazione, sacche di povertà fino ad allora sconosciute, una riduzione delle attività agricole e dell’allevamento, delle professioni autonome (-9%), dell’edilizia (-34%).
La politica registrava l’emergere del malcontento. L’Union Valdôtaine (era al 47,6% nel 2003) dal 2006 ha visto le scissioni susseguirsi e le sigle moltiplicarsi: Vallée d’Aoste Vive, Renouveau, ALPE, Pour Notre Vallée, UVP che a sua volta ha dato origine a Mouv. Questo autonomismo plurale, in cui si aggiungono Stella Alpina e la defunta Fédération autonomiste, ha tenuto il campo fino ad ora.
Va anche detto che ogni scissione ha generato proposte di riforma del sistema, ma senza esiti decisivi. Da un lato, era difficile uscire da un modello incentrato sulla spesa pubblica, sulle partecipate e sul consenso collegato: erano tentativi spesso maldestri e incerti. Il modo di ragionare di buona parte della classe politica locale italiana non ha retto né la responsabilità delle entrate e delle spese che deriva dalla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale né le restrizioni dei contributi alla finanza pubblica.
Dall’altro i tentativi di cambiamento e di riforma interna sono stati ostacolati nella comunicazione pubblica, dalle rigidità del sistema amministrativo, ma anche da parte statale. Varie inchieste della magistratura, crisi aziendali e di settore hanno poi dato il colpo di grazia al vecchio consenso.
Di fronte alla conservazione, il disagio di agricoltori, impiegati e unionisti tradizionali ha spostato il voto sulla Lega e sul M5S, che ha finito per prevalere, almeno alla Camera, anche in Valle d’Aosta.
Enrico Martial
7 marzo 2018 su
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http://formiche.net/2018/03/perche-la-valle-d-aosta-ha-eletto-una-grillina/