Il clima pesante che abbiamo respirato in Valle d’Aosta da qualche anno presenta segnali di rottura. Il Presidente della Regione è stato più volte sconfitto su partite e battaglie piuttosto importanti. Alle elezioni a Courmayeur ha prevalso una lista civica rispetto a quella a lui riferita. Al referendum sul pirogassificatore ha dovuto assistere ad una vittoria contro un suo progetto edilizio e industriale che deve essere ascritta alla società civile prima ancora che ai partiti e movimenti rappresentati in Consiglio Valle. L’Assessore all’educazione e cultura si è dimesso dall’incarico senza che egli sia riuscito a trattenerlo dalla decisione.
Le tre recenti sconfitte del Presidente della Regione si sono svolte in un clima generale difficile, segnato dalla crisi economica, dalle riduzioni imposte al bilancio regionale e dalla conseguente contrazione della spesa pubblica in diversi settori :sui forestali, sugli appalti, nell’acquisizione di beni e servizi. E non è finita: ancora si rincorrono le voci su problemi di cassa, con possibili impatti sul pagamento degli stipendi.
Il quadro è in movimento. I giornali (e i giornalisti) parlano con maggiore libertà, i commenti si moltiplicano, sollecitati dall’approssimarsi delle elezioni politiche e di quelle regionali.
I segnali di rottura e di movimento generano tuttavia speranze assai fragili. Il quadro resta in realtà drammaticamente immobile: i pezzi si muovono sulla stessa scacchiera, proprio mentre questa rischia di essere spazzata via.
Il cambiamento necessario di passo e di obiettivi del governo regionale diventa oggi quasi impossibile senza un ricambio della dirigenza politica: è per loro più facile e naturale l’arroccamento, la difesa a oltranza delle posizioni anche se queste condurranno alla più generale sconfitta.
1. L’ennesima diaspora unionista
Sta giungendo a compimento il procedimento con cui Laurent Viérin, Luciano Caveri, Andrea Rosset, Elso Gérandin e Luigi Bertschy stanno uscendo dall’Union Valdôtaine, un partito che perde pezzi e contenuti ormai da anni. La prima grande e grave perdita risale ancora agli anni Novanta, durante le due giunte Rollandin, quando un gruppo di unionisti solidamente ideologizzati furono prima emarginati e poi sostanzialmente allontanati dal movimento: e tra questi va ricordato Leonardo Tamone (mi perdoneranno gli altri del gruppo). Una seconda frattura è avvenuta – in modo assai traumatico – con l’uscita dall’Union del gruppo che faceva capo a Robert Louvin e la nascita prima di Aosta viva e poi di Vallée d’Aoste Vive. Una terza frattura ha avuto luogo con l’uscita di un gruppo guidato da Carlo Perrin e con la nascita nel 2006 di Renouveau valdôtain.
Si tratta dunque di una quarta frattura. Non è dunque significativa come fu la nascita dei democratici Popolari e la frattura della DC valdostana negli anni Settanta. E’ semplicemente un ulteriore segno di una crisi profonda del partito, e anche un’operazione di sostegno a sinistra.
2. Una diaspora organica e bersaniana
La quarta diaspora unionista non presenta caratteri di novità, e lo dico con rammarico. Il nuovo gruppo è naturalmente collocato sulla linea nazionale della sinistra di Bersani. Sono unionisti organici, e la loro storia lo conferma: Caveri fu sottosegretario del Governo d’Alema, e fu eletto al Parlamento europeo in apparentamento con le liste di sinistra. Laurent Viérin è figlio del Dino che governò in legame organico con i partiti eredi del PCI, sia a livello locale che nazionale, con riflessi diretti sulle scelte amministrative e tecniche (INVA, per dirne una), oltre che politiche.
Vi sono naturalmente anche buone ragioni a favore: si può per esempio dire che la sinistra è l’unica parte politica nazionale che ha storicamente difeso le autonomie regionali e in particolare l’autonomia valdostana. Ed è opinione condivisa anche a Bolzano dal presidente Durnwalder. Alla fine della fiera, però, lo scopo sarà semplicemente quello di aggiungere un senatore valdostano che possa (quasi sempre) essere fedele a Bersani. Il Senato è il punto debole di una maggioranza di sinistra: e si lavora a rinforzarla, con l’aiuto di Donzel, di Caveri e con ogni probabilità di Carlo Perrin di Alpe.
3. … senza segnali di cambiamento
Non è una novità dunque se l’attuale minoranza di sinistra dell’Union torna a esplicitare il suo sostegno alla sinistra nazionale e nella fattispecie al progetto di Bersani. Lo fa nel segno della difesa delle posizioni (finanziarie) acquisite sul piano regionale, come è sempre avvenuto, e senza un “nuovo” programma per la Valle d’Aosta. Questo è il punto: “senza un nuovo programma”.
Dall’altra parte – cioè nella maggioranza dell’Union – neppure si leggono segnali di cambiamento. La base politica del Pdl è gravemente scossa sul piano nazionale e questo inquieta un po’ tutti. Nell’UV non si trova una prospettiva politica, un orizzonte, un percorso. Le reti interpersonali dei partiti regionalisti più piccoli si sfilacciano con la riduzione della capacità di spesa regionale (che è un nostro modo elegante per non parlare di clientele).
Eppure le scelte di governo e di amministrazione continuano sulla linea classica e durissima. Ancora di recente in commissione rifiuti si è cercato lo scontro con Valle virtuosa (e con i cittadini che hanno votato al referendum), come se non bastasse l’inceneritore politico che hanno costruito all’interno dell’UV. Il Comune di Aosta (con il suo Sindaco in testa) farà fronte alla riduzione delle entrate con qualche taglietto di spesa ma soprattutto aumentando l’IMU per tutti gli immobili diversi dalla prima casa, e quindi anche l’IMU per le imprese, alla faccia dello sviluppo. La RAI regionale, presidiata dalle due frange unioniste, dice che i trasporti vanno benissimo, e che i nuovi orari dei bus per Ivrea saranno una grande innovazione. Come se niente fosse, la maggioranza prosegue con la musica di sempre.
A sinistra si ripropone il modello del decennio scorso, una combinazione di concessioni finanziarie e politiche fondate sull’alleanza con il principale partito della sinistra nazionale. A destra si va avanti con le grandi opere ancora in cantiere senza averne i soldi e senza uno scenario politico per il futuro distinto dalle grandi opere stesse. Ed è tutto: non ci sono altre proposte.
4. Cosa manca in Valle d’Aosta: una proposta politica per uscire dalla crisi
A destra e a sinistra la politica regionale è immaginata come la gestione di un grosso welfare, di un meccanismo di spesa pubblica che sostiene le aziende e le famiglie valdostane. Non importa nulla dell’iniziativa imprenditoriale, se non nella sceneggiata (di nuovo) degli aiuti e dei programmi regionali ed europei. Anzi, le imprese sono viste come soggetti esterni, se possibile sottomessi, oppure almeno amici, a volte persino concorrenti. In generale, si pensa che delle imprese bisogna sempre diffidare.
A destra e a sinistra, l’offerta politica regionale pensa soltanto alla spesa, e non allo sviluppo. Forse una volta (più di venti-trent’anni fa) se ne parlava, ma ora non più. Quello che conta dell’Università è l’immobile da costruire e non il suo contenuto. Dei rifiuti non importa l’impatto ambientale e finanziario ma l’edificio da realizzare e i servizi pubblici da attribuire. Dei trasporti non importa l’effetto sulla rottura dell’isolamento, sullo sviluppo delle imprese e sui cittadini, ma il business delle infrastrutture e dei servizi. Vi sono sfumature ovviamente, ma il quadro è questo. Il pirogassificatore è infatti stato votato in Consiglio regionale senza grandi traumi, e con l’appoggio del PD. Sui costi autostradali si assiste a sceneggiate tutte orientate alla riduzione dei costi per i cittadini e non per le imprese. Di accessibilità non si parla, né a destra né a sinistra.
E’ il punto di vista delle forze politiche, non dei cittadini che aspettano il treno a Ivrea o a Chivasso, che si chiedono se non costi troppo quella o quell’altra grande opera, che si chiedono come mai non si raccoglie l’umido. La domanda, i cittadini, ce l’hanno e ben chiara. Manca invece l’offerta, la proposta politica.
Per costruirla è sufficiente guardare la questione dall’altra parte, dalla parte opposta da cui la guardano UV e sinistre. Bisogna spostare l’attenzione su chi produce ricchezza e non solo su chi la distribuisce. Bisogna ridurre lo spazio e il perimetro dell’amministrazione pubblica (tutta: statale, regionale comunale, delle agenzie e delle partecipate) e lasciare più spazio ai valdostani, a coloro che producono, a quelli che vorrebbero produrre. Manca una proposta politica che non sia fondata sulla spesa ma che sia fondata sulle prospettive di sviluppo.
Non è retorica. E’ possibile sin da ora azzerare l’IRAP in Valle d’Aosta. Bisogna portare a zero i margini di manovra di tutte le tasse manovrabili dalla Regione e dai Comuni. Bisogna ridurre al minimo le imposte per imprese. Bisogna eliminare l’indecente tassa sulle presenze turistiche. Bisogna ottenere una competenza in materia di manovrabilità fiscale. Bisogna creare condizioni favorevoli al mercato del lavoro affinché le imprese (private) tornino ad assumere e a produrre ricchezza.
Voi dite che si ridurranno le entrate della Regione? Allora benissimo. Allora sarà possibile far dimagrire la macchina pubblica, regionale e comunale. Forse non tutti si sono resi conto che si è perso il senno nel corso degli ultimi 20 anni. Ridurre l’amministrazione ai livelli degli anni Ottanta è possibile e fattibile. La Valle d’Aosta ha la stessa pressione fiscale del resto d’Italia e probabilmente un numero di ladri pubblici numericamente inferiore. I nove e dieci decimi di imposte che gravano su imprese e famiglie valdostane entrano in Regione e hanno ingigantito il sistema pubblico. Alla fine hanno anche indebolito l’economia regionale. Le tasse che produce il sistema pubblico in stipendi e appalti tornano alla Regione, e non sono ricchezza reale, sono soltanto una partita di giro. Le entrate della Regione vengono solo da 5-6 grandi imprese, dall’agroalimentare e dal turismo. Occorre preservare la fragile economia reale che abbiamo e ridarle ossigeno, permettere di rafforzarsi, di ricreare ricchezza e lavoro.
Nel nostro caso la Regione non è la soluzione, la Regione è il problema, e mi si permetterà la citazione d’epoca.
5. però manca anche il soggetto politico …
Se tutte le forze politiche sono schierate sulla spesa e non sullo sviluppo, non si sa chi potrebbe far propria questa proposta politica.
Il livello di sopportazione massima è già stato raggiunto. La domanda di cambiamento emerge a tratti da diversi ambienti, anche politici. Alcuni esponenti di Alpe accennano ad un riconoscimento maggiore del ruolo della società civile e anche delle imprese, anche se il movimento nel suo complesso è piuttosto orientato alla sinistra (bersaniana o vendoliana). I renziani pesano in percentuale più in in Valle d’Aosta che a livello nazionale, altro segno di domanda di cambiamento. Alcune aree e almeno un esponente del Pdl sembrano non aver completamente smarrito il breve sogno liberale del 1993-94, quando predicavano meno Regione e più impresa. E’ una domanda profonda però molto più evidente nella società civile. Fermare il Declino di Oscar Giannino ha raccolto un primo gruppo di sostenitori, tra cui chi vi scrive, proponendo una scaletta di interventi per la Valle d’Aosta. Ma ancora non basta.
A questa domanda politica di robusto rinnovamento occorre rispondere con maggior forza e capacità. E’ una domanda che ripone poche speranze nelle forze esterne alla Valle e nel rinnovamento italiano. Si chiede di far da soli, di migliorare la politica valdostana partendo dalle nostre energie. E’ una domanda che chiede alla politica valdostana di riprendersi, di uscire dalle secche in cui è andata ad incastrarsi nel corso degli ultimi anni.
Serve un cambiamento – di cultura, di stile, di metodo, di contenuti – per sottrarci alla crisi di sviluppo all’orizzonte dei prossimi decenni, e per salvarci dalla tempesta che si annuncia sulle competenze regionali e sulla stessa autonomia della Valle d’Aosta. .