di Enrico Martial
Albert Lanièce tornerà nel suo ufficio romano, la prima donna eletta dalla Valle d’Aosta è di un partito italiano di protesta. Una Valle nuova si annuncia dai numeri emersi dalle elezioni politiche, bisogna prenderne atto. Ecco allora tre osservazioni a caldo.
La prima: in Valle non c’è più una maggioranza delle forze autonomiste tradizionali. Le cause sono note: crisi economica e fine della redistribuzione delle risorse pubbliche regionali, alcuni farabutti e qualche arroganza, incapacità e incomprensione politica. E’ una sfiducia profonda tra i valdostani, la fine di un consenso al sistema, malgrado le campagne nei media dell’establishment valdostano. Resiste uno zoccolo, che è stato eroso e che rischia di non reggere per molto, se si afferma una narrazione italiana sulla televisione e sul web prevalente rispetto al sentimento di autogoverno valdostano.
La seconda. In Valle d’Aosta, le forze del cambiamento sono maggioranza. I contenuti sono abbastanza conosciuti: miglioramento delle condizioni di reddito e di lavoro, semplificazione e antiburocrazia, riduzione delle tasse, più sviluppo economico o più distribuzione dei soldi, anche senza averli. E’ una forza che attraversa tutta la società valdostana. Penalizza chi ricorda l’establishment, per professione o per alleanze, ma ingloba le sue proposte di riforma. Il cambiamento risponde alla rabbia mentre presenta alcune forme rassicuranti: nella nuova veste governativa del M5S anche in Valle d’Aosta, nella prudenza locale della Lega. Anche l’autonomia si salva, a parole, anche se nel tempo non sarà così.
La terza è sulla risposta. Se in Valle d’Aosta è cresciuta la rabbia e la protesta, l’attività pubblica ha generato fastidio e incredulità: non sono bastati gli annunci, né le promesse porta a porta. L’Union si è arroccata su se stessa, l’UVP si è arroccata a sua volta, senza mai credere alla necessità reale di cambiare, neppure nel 2017. Sono ormai da sole a guardare indietro. Viceversa, le proposte di riforma interna della Valle, quando non incomprese, sono state bloccate per anni e a ripetizione. Ai valdostani sono poi apparse insufficienti e incerte, in continuità sul passato: all’acqua di rose sulle partecipate, sulla burocrazia e sulla politica, sul lavoro, su tasse e imprese, su agricoltura e turismo. A volte sono sembrati cambiamenti di nomi, e non di sostanza. Inoltre, anche se blandi, i tentativi di cambiamento sono stati ostacolati duramente nella comunicazione e nella stampa, nell’amministrazione locale, e da gran parte dell’amministrazione dello Stato, anche politica.
Si apre adesso la partita delle elezioni regionali. S’intravvede la fine di un’epoca, quella aperta con il riparto fiscale degli anni Settanta, del benessere senza sviluppo. Non si capisce ancora se ci sarà un risveglio generale, e come andrà a finire. Ed è questo che preoccupa.
5 marzo 2018