Lasciamo perdere per un momento la sinistra e Renzi, guardiamo anche a destra, dove si ritrovano spesso posizioni anti-europee. Nel mondo “blu” si fatica spesso ad accettare che l’Italia sia collocata a occidente, in Europa e nel contesto atlantico. Da quelle parti, pur con molte differenze, vi sono tendenze dominanti che vanno nella stessa direzione: apertura dei mercati, integrazione monetaria, liberalizzazioni, rafforzamento dei diritti individuali, formazione collaborativa delle decisioni, tutela e promozione dell’ambiente come fattore patrimoniale, sussidiarietà, concorrenza territoriale, decentramento e responsabilità locale e regionale.
Finché la DC governava le pulsioni di destra, si manteneva anche una scuola europeista, più o meno modernizzatrice o di facciata. I partiti minori e laici affiancavano la costruzione delle politiche europee, e spesso aiutavano a tener dritta la barra del timone. Quando la DC è venuta meno, sotto la propaganda liberale iniziale è riemersa la pulsione tradizionale dell’Italia preunitaria. Nella narrazione di centro-destra, l’apertura dei mercati ha largamente ceduto alla retorica della difesa dell’industria nazionale, le liberalizzazioni alle corporazioni dei mestieri e ai monopoli generali e territoriali, i diritti individuali ai valori assoluti, la governance alla preferenza per le decisioni verticali e prefettizie, l’ambiente ad uno sviluppo economico nello stile della prima rivoluzione industriale, la sussidiarietà e il decentramento al riaccentramento del “Torniamo allo Statuto”. Pulsioni profonde neanche tanto nascoste da un velo di europeismo formale, da gesti falsamente ossequiosi a occidente.
E’ quanto l’Italia ha imparato negli anni dell’immediata costruzione dell’Unità, e che non ha più lasciato. Scandali e cricche che si ripetono, come ai tempi dello scandalo della Banca Romana oppure nell’autoritarismo sociale. Spinte alla modernizzazione pure ci sono state, anche a destra: tuttavia minoritarie, e qualche volta o spesso costrette obtorto collo a parlare a sinistra. Oggi, è un centro destra sconfitto che si presenta nei venti anni successivi alla DC, e sostanzialmente escluso dal circuito internazionale. Una parte s’è quindi rifugiata nel populismo, un’altra parte cerca nuove “Strade”.
Nel vuoto di oggi, nelle macerie del centro destra, è facile osservare un gran fermento di iniziative. E’ un fatto positivo, dalla Leopolda blu a Italia Unica, alle associazioni che animano molte città. Eppure ancora riemerge il riflesso umbertino, di chiusura del mercato al contesto internazionale, di fastidio per la Francia, per la Germania, o per Albione, quindi per la costruzione e la collaborazione europea, per le direttive e orientamenti che pure votiamo. Fastidio verso le liberalizzazioni delle professioni – come è stato per l’associazione degli avvocati – ostilità alle norme ambientali, disprezzo e sufficienza per le “mode” dell’innovazione e del digitale, e si ritrovano come nell’Ottocento gli innamoramenti per i i più forti in geopolitica, ancor più se autoritari. Irresponsabile nella gestione della spesa pubblica, indifferente alla cattiva amministrazione locale e regionale, riemerge la banale e arcinota volontà di tornare al centralismo ministeriale, di far fuori le Regioni, di ostacolare la normativa comune europea. Una chiusura provinciale, che attraversa le persone e i movimenti nel centro-destra e che è prima di tutto culturale.
Questo riflesso umbertino non aiuta l’Italia, che già nell’Ottocento si lanciò in un grave immiserimento, e che oggi è del tutto fuori dal tempo. Talmente anacronistico che non porterà l’Italia fuori dall’Europa e dal sistema atlantico, perché le forze in gioco – economiche, politiche, di contesto internazionale – ci vogliono dentro.
Sceneggiate anti-atlantiche e anti-europee alla Salvini e della nuova destra, ma anche della narrazione moderata che si ritrova persino in alcuni di Scelta civica sono destinate all’opposizione: sono utili soltanto a tenere il centro destra lontano dal governo. E’ un riflesso umbertino che porta soltanto l’Italia indietro, che tiene lontani dallo sviluppo e dall’innovazione, dalla buona governance e dalla responsabilità del governo locale e regionale, dallo sviluppo e dai diritti. Un riflesso che delega a una sinistra alla fine vecchiotta, centralista e corporativa il governo locale, regione e centrale, e quindi la gestione del declino.
Eppure un’Italia civile si lamenta e s’indigna, si preoccupa dell’eduzione dei propri figli, ma anche esporta e inventa. Fermare il declino cercò di interpretare questa parte di Paese che ora è di nuovo priva di agganci e riferimenti, dopo la prima fiducia e poi le nuove delusioni dei mille giorni di Renzi, come fu per le speranze che Monti e in parte Letta inizialmente suscitarono. E sarà ancora isolata, se la destra guarderà allo Stato umbertino chiuso e trafficone, e la sinistra alle municipalizzate monopoliste e ai decadenti salotti bancari.
Questa parte d’Italia dovrebbe farsi avanti, assumere direttamente responsabilità di indirizzo politico. D’altra parte in ogni sede di osservazione europea e occidentale s’ascolta solo un auspicio: che l’Italia faccia un passo avanti, che una forza liberale si affermi e poi diventi dominante nel Paese.
Apparso sul sito di Alleanza liberaldemocratica per l’Italia il 20 novembre 2014