Con il comunicato congiunto di Joe Biden ed Emmanuel Macron, che si legge sui siti dell’Eliseo e della Casa Bianca e che fa seguito alla telefonata del 22 settembre, la crisi dei sottomarini si è formalmente chiusa. Restano però degli strascichi, la cui portata si misurerà nelle prossime settimane e mesi.
Il testo del comunicato riconosce molte ragioni al presidente francese: ci sono le scuse statunitensi, (“delle consultazioni parte avrebbero permesso di evitare questa situazione”), un processo di ricostruzione della fiducia (“consultazioni approfondite”, per spiegarsi su quanto è successo e per adottare misure corrispondenti), un incontro in presenza a ottobre in Europa, il ritorno dell’ambasciatore francese a Washington, ma fra qualche giorno e con le garanzie di interlocuzione stabile con i vertici dell’amministrazione americana.
Inoltre, Biden riconosce un ruolo “della Francia e dell’Unione europea nella regione dell’indo-pacifico”, anche sulla base della recente strategia Ue (che non è soltanto militare) e soprattutto dice che “gli Stati Uniti riconoscono l’importanza di una difesa europea più forte e più capace, che contribuisce positivamente alla sicurezza globale e transatlantica e che è complementare alla NATO”.
Infine, visto che il tema aveva posto qualche interrogativo dopo l’erratico disimpegno americano in Afghanistan, Joe Biden dice che “gli Stati Uniti si impegnano a rafforzare il loro appoggio alle operazioni antiterroriste svolte dagli Stati europei nella regione del Sahel”. Si noti: svolte “dagli Stati europei” e non solo dalla Francia, e con una rassicurazione sull’appoggio con i droni e l’informazione.
Tanta grazia sembra persino eccessiva, quasi un liquidare a parole, una restituzione di dignità alla Francia che sarà poi da vedere se sarà confermata nei fatti, forse solo cortesia per un Paese europeo infuriato. Per intanto Boris Johnson in visita a Washington, visibilmente indifferente o ignaro del comunicato congiunto franco-statunitense, sempre il 22 settembre invitava la Francia “darsi una calmata”, confermando la sua esclusione dalla strategia dell’indo-Pacifico. Va considerato tra l’altro che non solo il britannico Johnson è portatore di temi “sovranisti” (con sintonie trumpiane), anti-multilateraliste e neo-westfaliane, anche il premier australiano Scott Morrison è animato da spiriti analoghi. Inoltre, ancora a dicembre 2020, pochi giorni prima del passaggio di consegne, Donald Trump aveva attribuito a Scott Morrison l’onorificenza militare della Legion of Merit, assieme a Shizo Abe e Narenda Modi. Morrison era poi stato criticato dalla stampa nazionale per le esitazioni nel condannare l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Gli strascichi ci sono, perché la ricostruzione della vicenda conferma che la Francia è stata freddamente tenuta all’oscuro di quanto stava accadendo. Al G7 in Cornovaglia, il 10 giugno, Joe Biden, Scott Morrison e Boris Johnson hanno parlato tra loro di sottomarini, e soltanto cinque giorni dopo, il 15 giugno, lo stesso Morrison vedeva Macron a Parigi, con l’accordo franco-australiano citato in conferenza stampa. Le Monde riferisce da fonte americana che la preparazione dell’accordo tripartito Aukus è durato diversi mesi: ma ancora il 30 agosto 2021 a Parigi, l’Australia faceva il pesce in barile nell’interministeriale esteri-difesa con la Francia, in cui il programma dei sottomarini era all’ordine del giorno. E così per le altre “ferite alla fiducia”, non facili da rimarginare, e ce ne è un elenco ormai sui media, tra mancati appuntamenti e rassicurazioni in incontri e riunioni.
Ci sono anche altri strascichi: la ruggine cresciuta con il Regno Unito durante la Brexit, ha ben mostrato che l’Unione europea (e forse l’Europa) ha ora un solo stato membro con forza nucleare, se mai ci fosse davvero disimpegno o progressiva disaffezione statunitense, e un solo membro permanente all’Onu. Il caotico ritiro dall’Afghanistan e il caso dei sottomarini hanno certamente prodotto una solidarietà europea che però conferma la poca sostanza della politica estera comune: come si è visto nell’informale dei ministri degli esteri dell’Unione del 20 settembre, che Josep Borrell ha cercato per quanto possibile di minimizzare. Il rapporto con gli Stati Uniti non è più lo stesso di una volta, e persino la fedele Polonia si è fatta delle domande dopo la conferma statunitense al completamento del Nordstream2.
E’ interessante anche osservare cosa è successo in Italia, almeno tra gli osservatori: dalle risatine iniziali si è passati alle ricostruzioni più puntuali sui giornali di carta, la questione prima circoscritta alla sola Francia è stata parzialmente riconosciuta come fatto europeo. Stefano Stefanini sulle prime aveva invitato l’Italia e l’Unione europea a stare alla larga dalla grana francese e dall’indo-Pacifico, Carlo Pelanda aveva suggerito di concentrarsi sull’Africa intravvedendo tuttavia uno spazio per l’Europa e per l’Italia (ed è comunque una relativa novità per il sentire nazionale, che ancora si deve abituare) mentre Giampiero Massolo ha infine letto nella crisi del ritiro afghano e nella crisi dei sottomarini delle opportunità per l’Europa. Che almeno in parte si ritrovano nel più ottimista comunicato congiunto Biden-Macron del 22 settembre.
in Start Magazine 23 settembre 2021