Dopo l’elezione del capo dello Stato si tornerà a parlare di riforme e del nuovo Senato. Dovremo forse preoccuparci.
Intendiamoci: la nascita di un Senato delle istituzioni territoriali è una gran conquista per il regionalismo in Italia. Se ne trova solida traccia nella proposta di legge costituzionale dei parlamentari valdostani del
lontano 1991, è stato uno degli obiettivi perseguiti e mancati della riforma del 2001. Nel 2015, malgrado lo slancio antiregionalista, si farà probabilmente un Senato delle istituzioni territoriali, completando ciò che non era riuscito per decenni.
Nel suo intervento a Cogne, alla prima riunione della Constituante, Cesare Dujany ci ha però messi in guardia. Il Senato non voterà la fiducia al Governo e non avrà capacità d’interlocuzione con il presidente del Consiglio. Con un ruolo leggero e incerto, sarà forse a metà strada tra il Comitato delle Regioni europeo (i non letti pareri finiscono nei cassetti) e alcune seconde camere territoriali europee, come quella spagnola, che i catalani infatti saltano a pié pari.
Al Senato territoriale arriveranno probabilmente solo i temi generali di dibattito. Le concrete politiche governative (anche legislative) continueranno a passare dalla cinghia di trasmissione della Conferenza Stato-Regioni, che conserverà il ruolo che ha avuto fino ad ora. La riforma costituzionale potrebbe quindi essere per innocua per la Valle d’Aosta. Un progresso di facciata, da Paese del Gattopardo, non un peggioramento.
Eppure un po’ di prudenza ci vuole. Nel nuovo Senato ci saranno gli eletti dai consigli regionali, ma i regionalisti saranno pochissimi, forse solo dalla Valle, da Bolzano e Trento, forse dal Friuli. Ci sarà del sindacalismo istituzionale, per chiedere più soldi e più potere (al sud, al nord, nella capitale, nelle zone urbane, nelle zone montane, nelle isole, negli aeroporti, nei porti), ma poco senso della responsabilità territoriale e della propria comunità. Più che da noi, che patiamo ma ben resistiamo a questa tendenza, il distacco tra la politica e la popolazione è massima in Italia, e i consiglieri regionali rispondono più a centri d’interessi che a partiti a loro volta poco rappresentativi.
Sarà un Senato indifferente o forse ostile al regionalismo. E da cui un senatore-presidente di Regione e della Conferenza delle Regioni potrebbe anche proporre la fusione delle Regioni e la scomparsa della Valle.
Gazzetta Matin, 2 febbraio 2015
Enrico Martial