Il Congresso dell’Union Valdôtaine si è chiuso con un fallimento. Vi sono tre ragioni per dare un giudizio di questa intensità: debolezza, prudenza, arroccamento.
Debolezza.
L’Union valdôtaine è un partito debole, e ormai svuotato di contenuti. Da tempo ha perduto la capacità di elaborazione, che si è spenta almeno dal 2000, se non prima. Il costante adeguamento ai disegni e ai modelli politici e amministrativi nazionali, in particolare della sinistra tradizionale (se non addirittura d’alemiana), hanno annullato la ricerca di un proprio percorso politico. Le finali difficoltà della giunta Viérin, il leggero tentativo di ripresa “valdostana” di Perrin e il ritorno al modello statalista-comunista di Caveri hanno portato a compimento una crisi di identità del partito che è testimoniata dal continuo stillicidio degli abbandoni.
Nel 2008, molti valdostani votarono il ritorno di Rollandin convinti di affidarsi ad “une valeur sûre” che rimediasse all’improvvisazione politica e amministrativa degli anni precedenti. Invece, in pochi anni il suo personale patrimonio di credibilità è stato malamente dilapidato. Rollandin ha decretato l’inutilità di qualsiasi elaborazione politica, ha ridotto la gestione della Regione un piano di grandi opere senza un programma di stabilizzazione delle entrate e senza sentore di ciò che stava capitando all’esterno. Si è barricato – isolandosi – scegliendo un piccolo nucleo di pretoriani (spesso maltrattati), e creando con un triste silenzio intorno a sé.
Prudenza.
Alcuni hanno avvertito il Capo della tempesta, che peraltro ormai era già arrivata, con i primi tagli alle entrate della Regione e l’esplicita minaccia di chiudere l’esperienza costituzionale dello Statuto speciale. Non le ha veramente ascoltate. Le ha forse un pochino tollerate, accompagnandole con un leggero gesto di fastidio. Chi se ne è fatto portavoce – anche eroicamente dinanzi al cipiglio del Capo – ha per forza dovuto adottare uno stile prudente. Onore quindi a Ego Perron, che ci ha provato: la prudenza è stata tuttavia il suo errore più grave. La mattina del Congresso han parlato solo gli ortodossi: il capissimo Rollandin, l’eroico ma prudente Perron, la pretoriana Rini, per poi mandare tutti a pranzo alla bocciofila di Pont-Saint-Martin. Il Congresso era allora già finito: senza obbligare sin da subito tutti al dibattito, il gioco era già chiuso. La prudenza è stata da un lato organizzativa: i tre potevano invece far due minuti di saluti e facilitare piuttosto l’emergere della protesta più dura, avrebbero potuto aprire la discussione. Avrebbero in questo modo mantenuto il controllo dell’agenda. L’han invece perduta, e chi non ha parlato (Viérin e i dissedenti) ha già annunciato che non rinnoverà la tessera. Drammaticamente prudenti e quindi fragili anche i contenuti: il rilancio del francese (da tempo in abbandono), l’annuncio di una protesta di piazza ma “condizionata” al buon comportamento del governo, il richiamo ad una formale unità del partito sono modalità per prepararsi alla tempesta con un ombrellino da sole.
Arroccamento.
Debolezza e prudenza sono i segnali esteriori dell’arroccamento in cui si sono posti il Capo e l’Union valdôtaine da lui influenzata, di cui è stato testimone il Congresso. Senza idee e disegni per il futuro, sopravvalutando la solidità delle proprie mura, il Capo, i pretoriani, i critici e anche gli iscritti spaesati non vedono altra possibilità e prospettiva politica diversa dalla difesa a oltranza del modello organizzativo con cui è stata gestita l’autonomia, in particolare negli ultimi vent’anni. L’arroccamento è veramente deleterio, perché a sua volta esclude il dibattito, lo squalifica come inutile dinanzi alla tempesta, lo indica come nocivo all’unità e alla difesa del partito, prima ancora che dell’autonomia. Con il risultato di prendere per solide mura che invece sono fragili. Rollandin si è spolmonato in una disanima su temi costituzionali, dinanzi un Congresso un po’ basito e un po’ sperduto e sotto-sotto cosciente del fatto che se Roma vuol chiudere con l’autonomia speciale, ci impiega cinque minuti.
L’arroccamento produce però qualche fuga, di chi non regge più la perdita di buonsenso e di chi vorrebbe qualche cambiamento. L’Arroccato però non ci sente, ci rimane solo un po’ male: le sconfitte di Courmayeur, del pirogassificatore, delle dimissioni di Viérin non lo fanno spostare di un millimetro. Gli fanno produrre soltanto modesti gesti di pace, e del tutto strumentali.
Se il Congresso dell’Union è stato un fallimento, nessun valdostano può stare allegro. Il punto è che non esiste una proposta politica solida alternativa, un programma sostenibile di sostituzione del Capo, una visione politica per la Valle d’Aosta (non solo per l’Union) diversa dall’arroccamento. Esistono segnali positivi che provengono dalla società civile, ma sono pochi e sparsi. La protesta che è stata per anni liquidata nell’angolino del radicalismo ha prodotto maggiore proposta, analisi e buonsenso dell’attuale politica ufficiale. Valle Virtuosa è andata fuori Valle a cercare idee e soluzioni, ha svecchiato i meccanismi di partecipazione, ha introdotto una vera novità politica nel grigio panorama politico degli ultimi anni. I renziani han perduto le primarie in Valle ma hanno acceso una lampadina diversa dall’ortodossa candelina ereditata dal PCI. I pendolari dicono cose più sensate degli uffici regionali e dell’assessore ai trasporti. Le proteste dei singoli vengono lette e rilette sui siti web.
Però non basta. Senza una sostituzione, la caduta di Rollandin può avvenire in perfetta coincidenza con la fine dell’autonomia. Con lui (consenziente) possono essere cancellati almeno duecento anni di battaglie, con le loro luci e le loro ombre. E la sostituzione non è un esercizio facile. Il gruppo d’élite che annuncia l’uscita dall’Union sotto la guida di Laurent Viérin sembra porsi in continuità con il prodismo e d’alemismo della giunta guidata da Dino Viérin, cioè tutta roba fuori dal tempo, anche se oggi in gran parte ripresa dai Vendola e dai Fassina. Dalle parti di Alpe non si riesce a uscire da un ruolo d’oppositori a vita. Gli altri quasi non esistono, se non in qualche caso individuale.
Faceva male sentire che nessuno al Congrès abbia detto una parola buona su Monti, che ha veramente contribuito a salvare le penne di un Paese allo stremo, di cui fa parte integrante anche l’economia di questa Regione, con un effetto diretto anche sui singoli cittadini valdostani. Nuoce all’ottimismo notare come non si parli che di spesa, e mai di entrate, di iniziativa imprenditoriale, di creatività aziendale. Che non si faccia veramente “autonomia”, cioè disegno e una qualche speranza per il futuro della Valle d’Aosta.
Per come siamo messi, lo scenario non è per nulla buono.
Il Capo sta osservando un po’ disperato gli ultimi attacchi all’autonomia. Scaccia con fastidio chi brontola, e prepara tristemente la pala per la sepoltura della specialità della Valle d’Aosta.