Da sabato prossimo 12 marzo e fino a domenica 20 marzo si terrà la Semaine de la francophonie. Nata nel 1995, è un’iniziativa che tiene conto delle diversità linguistiche e persino le celebra, tra Québec, Svizzera, Port-au-Prince e Valle d’Aosta.
Quest’anno, la Semaine è anche l’occasione per un bilancio, per notare che il cambiamento profondo che stiamo registrando nell’economia e nella politica attraversa anche la cultura valdostana. Il Peuple è stata l’ultima pubblicazione periodica cartacea in lingua francese, dopo che i Cahiers du Ru di Pierre Lexert avevano chiuso i battenti. Resta qualcosa su internet, e qualche libretto; sono scomparsi anche gli aiuti finanziari, regionali o statali. La stessa amministrazione regionale produce ormai pochissimo in lingua francese, e meno ancora passa sui giornali locali. Per alcuni giornalisti, la francofonia e la “Semaine” sono persino diventati un fatto d’Oltralpe.
Troppo a lungo identificato nella forma partito, che pure lo ha fatto circolare negli ultimi anni, il francese è sopravvissuto nella società civile, tra qualche amico e qualche conversazione, oppure nelle famiglie che continuano a mandare i figli nel fuori Valle francofono. Sono però quasi scomparse le messe in francese, che pure alcuni ascoltavano, a Châtillon come nella Coumba Freida, e in varie sparse parrocchie.
La Semaine de la francophonie di quest’anno suggerisce le condizioni per una ripartenza, e vale la pena di dirlo in lingua italiana. In italiano si ritiene di raccogliere un più grande pubblico; per molti, in francese occorre impegnarsi di più nella lettura, e si è obbligati a rallentare, proprio in quest’epoca di fretta digitale. Tuttavia, se si cambia il punto di vista, si tratta di un valore aggiunto: nel tempo, nel prendere respiro, nel pensare.
Inoltre, scegliere di parlare e scrivere in una lingua comunitaria e identitaria offre qualche opportunità supplementare anche nella libertà d’espressione. Forse ci manca davvero uno strumento di informazione e di dibattito in lingua francese, proprio in questa fase di cambiamento.
Enrico Martial
Gazzetta Matin, 7 marzo 2016