“Il colpo passò tanto vicino da fargli cadere il cappello”: la frase è di Victor Hugo ed è riapparsa nei commenti al 58,54% di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali in Francia del 24 aprile. Nei messaggi dei capi di stato e di governo europei e occidentali si è letto lo scampato pericolo, per “L’incubo Le Pen”, come titolava la Frankfurter Allgemeine. Gli ultimi sondaggi – diffusi dai media belgi – erano rassicuranti, ma a ridosso del primo turno l’esito non era scontato. Argomenti e rabbie ricordavano certi momenti della Brexit o dell’assalto al Campidoglio a Washington, dell’Ungheria di Orban o del populismo e nazionalismo in Italia almeno del primo governo Conte. Elite contro il popolo, città contro campagna, social contro i giornali, con pulsioni in vari Paesi, dai gilet gialli all’attacco allo stato di diritto in Polonia, dall’AFD in Germania al governo di Janez Janša in Slovenia, che per combinazione ha perso proprio domenica scorsa le elezioni.
Fino a febbraio scorso, prima dell’invasione dell’Ucraina, pareva un fenomeno europeo e occidentale, con un grave ma solo complementare contributo di parte russa. Oggi la percezione è diversa, con la guerra entrano in gioco direttamente le questioni di sicurezza, nazionale, europea e occidentale. Quasi tutti i giornali hanno salutato la vittoria di Macron come un fattore di stabilità e di sicurezza per tutto l’occidente e per l’Europa.
Emmanuel Macron inizia il secondo mandato con questo vantaggio, con l’estrema destra di Marine Le Pen collocata dal contesto internazionale al di fuori di ogni possibilità di governo, come soggetto troppo vicino alla Russia di Putin. Sono argomenti sufficienti per segnare una linea, come fece per esempio il 20 agosto del 2019 il Washington Examiner (conservatore e spesso su linee neopopuliste o trumpiane) a proposito di Matteo Salvini.
Questo elemento di vantaggio si confronta tuttavia con un paesaggio politico e sociale francese teso come la corda di un violino, tutto da ricomporre. Marine Le Pen al secondo turno ha ottenuto il 41,46% dei voti, con la maggioranza in 30 dipartimenti, rispetto ai due del 2017. La Francia presenta fratture sociali e territoriali, tra quadri e impiegati, tra città e campagna, tra nordest e ovest. Nel primo turno elettorale, nel dibattito politico hanno preso a circolare con Eric Zemmour idee e temi ancor più radicali di quelli lepeniani, risultato certo più importante del 7% ottenuto nei suffragi. Hanno trovato spazio in CNews, la Fox news alla francese del ricchissimo Vincent Bolloré, che sta riposizionando a destra, anche in chiave radicale, diversi media francesi, da Europe 1 al Journal du Dimanche.
Per altro verso, esiste un forte radicalismo a sinistra, che si è riunito attorno a Jean-Luc Mélenchon, che al primo turno ha raggiunto il 21,95% dei voti, 7,7 milioni. Marine Le Pen ha cercato consensi per il secondo turno anche in quell’ambito, nel rigetto ad ogni costo del presidente uscente.
Emmanuel Macron – come ormai tutti i paesi europei ed occidentali – dovrà gestire e forse sminare il campo politico e quello sociale, con le sue rabbie e derive. Nelle ultime due settimane si sono sentiti soltanto alcuni accenni: “non lasciare nessuno indietro”, inventare un nuovo approccio politico, ascoltare e far partecipare.
Si intravvedono una ripresa del dialogo con i corpi intermedi (ad esempio i sindacati), interventi sui redditi, forse approcci di coalizione, a rimediare anche la scarsa rappresentatività sul territorio del suo partito, La République en Marche. Forse è ancora troppo poco. Il 12 e il 19 giugno prossimi ci saranno le elezioni legislative, in cui va costruita una nuova maggioranza del presidente. Marine Le Pen cercherà di eleggere una propria pattuglia, per il momento senza l’apporto di Eric Zemmour, mentre Jean-Luc Mélenchon intende rinnovare le basi per un’opposizione frontale al presidente, se non giungere a una propria, ma improbabile, maggioranza di sinistra, da imporre in una coabitazione con il presidente.
Per Macron, il primo “cantiere” pare economico-sociale. A favore del “potere d’acquisto”, dall’estate ci saranno aumenti sulle pensioni, nei salari della funzione pubblica, nei minimi sociali, la conferma degli interventi sui costi dell’energia. Oltre alle misure sul breve termine, le riforme continueranno. Alcune in attuazione aiutano a ridurre le tensioni, come l’autonomia differenziata della legge “3Ds” (da studiare anche in Italia), lo sportello locale dei servizi, nato in risposta ai gilet gialli, un certo attivismo dell’attuale ministro per la coesione Joël Giraud, vari progetti territoriali del PNRR francese. Altre sono in preparazione, sulla scuola, la salute, la giustizia, un po’ come in ogni Paese membro, Italia compresa. Forse torneranno esercizi di partecipazione, simili al dialogo del 2019 post-gilet gialli, o sul tipo della convenzione civica sul clima. La riforma che intende spostare l’età della pensione ai 65 anni sarà morbida e per tappe, ma consentirà di alimentare altre rabbie.
Il secondo cantiere sarà politico, e si è notato quanto siano tutti molto abbottonati al riguardo. Intanto il posizionamento di Nicolas Sarkozy a favore di Macron è parso un segnale sia per i Républicains a sganciarsi almeno dalle pulsioni estreme o lepeniane, emerse con chiarezza con Eric Ciotti, sia per Vincent Bolloré, almeno per il rapporto instaurato con Eric Zemmour.
Ai primi di maggio Macron nominerà il nuovo governo. Si parla di due conoscitori della macchina dello stato, Elisabeth Borne (ora ministra del lavoro) o Julien Denormandie (ora all’agricoltura): ancora un governo esecutore, con competenze in settori in cui le tensioni sono elevate. I segretari di stato (i nostri sottosegretari) sarebbero nominati dopo le legislative.
Emmanuel Macron ha accennato a “formule nuove”, a discontinuità con il primo quinquennio, si è parlato di coalizioni. Sullo sfondo, le prossime presidenziali, in cui si potrebbe ripetere lo stesso scenario di rischio.
in Start Magazine 26 aprile 2022