A parte le schermaglie e i dettagli, l’incontro che si è tenuto ieri a Torino dedicato al Rosatellum ha visto emergere qualche argomento che merita un passaggio nella cronaca. La serata si è svolta in uno dei luoghi della politica cittadina, l’Hotel Sitea di via Carlo Alberto, con quattro parlamentari: il senatore Stefano Esposito (PD), gli onorevoli Osvaldo Napoli (FI), Stefano Allasia (Lega Nord), e Giacomo Portas, detto Mimmo, che organizzava l’incontro con i suoi Moderati, che a Torino vanno dal 6 al 12 per cento, a seconda del momento politico. Alla guida dello scambio d’idee c’era Bruno Babando, direttore del giornale (molto torinese) “Lo Spiffero”.
Per sovrammercato, le introduzioni erano dei segretari regionali di Forza Italia e del PD, rispettivamente Gilberto Pichetto e Davide Gariglio. Un salottino sabaudo, in cui mancavano i Cinquestelle, arrabbiati per questa legge elettorale, e in qualche difficoltà per le recenti vicende comunali, con le dimissioni di Paolo Giordana, capo di gabinetto della sindaca Chiara Appendino.
RADICATI NEL TERRITORIO O PARCADUTATI?
Sarà fondamentale vincere nei collegi uninominali: è la sede in cui si deciderà chi sarà più grande e chi prevarrà. E’ piuttosto condivisa l’idea secondo cui i candidati dovranno essere conosciuti, radicati nel territorio, credibili e capaci di raccogliere consenso: amministratori locali, figure stimate. La guerra, o la selezione della classe dirigente, avverrà dunque prima del voto, dentro i partiti. Il lamento sull’assenza di preferenze e sulla privazione di scelta diretta dei cittadini è stato minoritario: sono sempre i partiti che hanno scelto. D’altra parte, un partecipante a margine ricordava che in Piemonte i politici di professione sono più o meno sempre gli stessi, da Osvaldo Napoli a Davide Gariglio, che ora è brizzolato e qualche anno fa era un ragazzino, a Chiamparino, che ha qualche anno in più ma è sempre lo stesso, a Mercedes Bresso, che era alle Comunità europee e ora è all’Unione europea, a Gilberto Pichetto, che era biellese e lo è ancora adesso. Come in queste parole, il clima nell’incontro era anche di conflitto, ma in un ambiente condiviso, duro e insieme garbato.
Anche la scelta sui candidati ben radicati però ha suscitato qualche dubbio. Alla fine non c’è voto disgiunto, e l’elettore vota la scheda, come fosse un menu completo e fisso: con la coalizione, il listino, i nomi già scritti. Quindi ci sarebbe anche spazio per i paracadutati, dipende veramente dal territorio, caso per caso.
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LA COALIZIONE CONTA PER VINCERE E PER GOVERNARE?
La coalizione non sarà così importante. Ci sarà certo uno sforzo di sintesi di posizione politica, ma l’essenziale sarà recuperare i numeri: poi, per governare si vedrà. La possibilità di raggiungere il 37% è considerata abbastanza realistica così come la necessità di trovare i numeri in parlamento, se nessuno prevalesse, in questo sistema a tre aree che ha affondato il bipolarismo. Molto carino il siparietto tra Osvaldo Napoli (FI) secondo cui la sintesi politica si troverà, per esempio sui temi europei e Stefano Allasia (Lega Nord), secondo cui non si subirà più nulla dall’Europa. Anzi, per essere chiari, Allasia ha detto che la coalizione di centrodestra è ancora tutta da fare.
Se la coalizione ha un peso relativo, più numerico che politico, le alleanze saranno importanti. Per esempio, avranno effetto per i resti e i quozienti, su cui pochi ne sanno qualcosa, visto che esistono di coalizione come di circoscrizione. Conteranno tuttavia dal punto di vista territoriale, perché questa legge favorisce i partiti regionali e locali (Lega nord e Moderati) e le specificità di ogni territorio, che va studiato caso per caso. Per esempio, nelle quattro circoscrizioni di Torino, a far due calcoli, un’alleanza tra PD e Moderati andrebbe dal 34 al 38%, persino prendendo i pessimi numeri delle ultime comunali in cui ha vinto la Appendino e il Pd ha avuto il suo peggior risultato degli ultimi 12 anni. Per il Piemonte 2 (cioè il Piemonte meno la provincia di Torino che comprende la città) la partita è data già per vinta dal centrodestra.
Sarà sempre opportuno tenere conto delle situazioni individuali, e in tutt’Italia. Ad esempio, nella Valle di Susa (zona di NoTav, degli attuali incendi e di un clima economico difficile) e nel Pinerolese potrebbe prevalere il M5S, anche nell’uninominale. Sebbene la legge che privilegi le coalizioni, i Cinquestelle hanno spazi reali, forse una trentina come questi nel Paese, ha detto Stefano Esposito. Bisognerà rispondere con candidati radicati, credibili e forti, ha replicato Osvaldo Napoli, raccogliendo qualche consenso.
CHE VANTAGGIO NE TRAE IL PD? E GLI ALTRI?
Per lo più ne ha parlato Esposito: ah non è certamente una legge che favorisce il Pd, è stata costruita con senso di responsabilità, per rimediare al quadro normativo esistente, che avrebbe prodotto risultati diversi alla Camera e al Senato. La riforma costituzionale del 4 dicembre non è passata al voto popolare, e questo è il risultato di ripiego. In più, anche se molti urlano e protestano, è stata concordata a tavolino, con la Lega, con Forza Italia. Anche i Cinquestelle beneficiano dell’assenza di preferenze, che li avrebbe messi in imbarazzo, rispetto alle loro selezioni “online”. La fiducia in Parlamento era necessaria perché era la legge stessa a essere necessaria al Paese: anche se andava di traverso persino ai parlamentari del Pd, che ne vedevano il danno diretto. Poi il de profundis nel dibattito: vedremo il risultato delle elezioni in Sicilia, avrà un effetto nazionale, anche sulla solidità del governo.
Anzi, avete visto le proiezioni di Repubblica: al nord non ci saranno parlamentari del Pd. Salvo poi risentire Mimmo Portas, per Repubblica faceva un appello al voto utile, un rinserrate i ranghi in difesa della sinistra. Perché nei quattro collegi urbani di Torino, anche quando va male, PD e Moderati insieme fanno dei bei numeri, e qualcuno lo eleggeranno, in barba ai sondaggi di Repubblica. E questo avverrà anche altrove, nel nord e in tutta l’Italia.
Ecco quindi il messaggio da Torino: tutta l’Italia è da studiare, caso per caso. È un po’ – si potrebbe dire – come nelle elezioni parlamentari dell’Italia umbertina, in cui non c’erano partiti di massa ma un’élite nazionale e spesso territoriale, composta da una classe dirigente variegata, fatta di notabili e professionisti, giornali e politici di carriera, da organizzatori e da qualche redattore di testi.
31 ottobre 2017 per Formiche