Perché Richard si è dimesso dal vertice di Orange

Stéphane Richard, presidente e amministratore delegato di Orange, l’ex-monopolista France Telecom, si è dimesso ieri 24 novembre al Consiglio di amministrazione convocato d’urgenza alle 18. Poche ore prima si era ascoltata la sentenza di condanna in appello a un anno con la condizionale e a 50 mila euro di sanzione, per il caso Adidas-Tapie-Crédit Lyonnais. Nel 2018, in primo grado tutti gli imputati erano stati assolti, ma poco prima di quell’esito il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, aveva avvertito che “in caso di condanna di un dirigente, il dirigente deve lasciare il posto”. La regola non è cambiata, e va ricordato che lo Stato francese è presente in Orange con il 23% delle quote.

Stéphane Richard ha annunciato ricorso in Cassazione, e rimarrà in funzione fino al 31 gennaio 2022, in attesa di trovare un sostituto, che potrebbe anche venire dall’estero. Il giornale economico Les Echos spiega meriti e limiti dei dieci anni di guida di Richard a Orange. Arrivato quando ancora si chiamava France Telecom, era riuscito dal 2010 a riportare un po’ di serenità in un’azienda in cui quadri e dirigenti vivevano in condizioni di forte stress, con suicidi anche sul posto di lavoro, e una contrazione dell’occupazione stimata intorno alle 22 mila unità.

Orange si è anche distinta nella distribuzione della fibra ottica in Francia, attualmente con il 58% delle parti di mercato, un ampliamento della presenza internazionale, e in particolare in Africa, con un contratto mobile su dieci in tutti il continente, un peso sui conti nel gruppo passato dal 7% al 13% e una crescita a due cifre, malgrado i vasti problemi, come ad esempio ora in Etiopia.

Richard è stato invece criticato per la scarsa innovazione, per le difficoltà nella diversificazione nel settore bancario (acquisizioni di Groupama e creazione di Orange Bank) nonché per la relativa debolezza del gruppo in borsa, dove ha perso un terzo del valore dal 2019. È capitato un po’ a tutte le Telcom, ma Les Echos fa anche il confronto con Deutsche Telekom, che ha 84 miliardi di capitalizzazione contro i 24 di Orange, ed è molto presente negli Stati Uniti.

Richard era in scadenza a maggio 2022, e pensava di conservare la presidenza, mentre la direzione generale sarebbe stata affidata a un nuovo manager. L’affaire Tapie pesava però anche in queste ultime settimane. La sentenza era stata rinviata per il decesso del protagonista, il 3 ottobre scorso.

È un tema che si trascina da 25 anni, per fatti che risalgono ai primi anni Novanta, quando Bernard Tapie, allora ministro per le politiche urbane durante la presidenza Mitterrand, rivendette al Crédit Lyonnais le proprie quote di Adidas, fino a un arbitrato che nel 2008 che gli permise di recuperare 404 milioni di euro. Le Figaro dice che questa storia ha sporcato tutto ciò che ha trovato sul suo cammino, ed è uno dei simboli dell’antipolitica. Stéphane Richard era allora capo di gabinetto della ministra dell’economia Christine Lagarde, di cui avrebbe “tradito la fiducia”, secondo il procedimento, e la stessa Lagarde (ora capo del FMI) nel 2016 era stata condannata, senza sanzione, per negligenza.

Per altri coimputati le pene sono più forti: il magistrato Pierre Estoup in carica dell’arbitrato e lo storico avvocato di Tapie, Maurice Lantourne, che si sarebbero messi d’accordo, sono stati condannati rispettivamente a tre anni con esecuzione della pena e a tre anni di cui due con la condizionale, oltre che a 300 mila euro di sanzioni.

I due, insieme ad alcune società coinvolte, dovranno ripagare, oltre a circa 800mila euro di spese e riparazioni, circa 400 milioni di euro di danni e interessi alle entità ancora in carico dei problemi del vecchio Crédit Lyonnais, i cui debiti, nel 1997 e per varie vicende, erano saliti fino a 100 miliardi di franchi di allora.

in Start Magazine 25 novembre 2021

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