Le dimissioni di Pedro Sánchez, il 1° ottobre, da segretario del Partito socialista spagnolo mentre aprono a un nuovo governo del Partito popolare con l’appoggio (almeno parziale) del Psoe segnano un progresso nel processo di stabilizzazione in Europa. Il presidente incaricato, il popolare Mariano Rayoy, ha infatti tempo fino al 31 ottobre per trovare una maggioranza, formare un nuovo governo e superare l’impasse che dura dal 21 dicembre scorso, e che già ha costretto a nuove elezioni il 16 giugno. La scadenza del 31 ottobre è ora diventata urgente, per le pressioni interne ed esterne. Per esempio, come gli altri Paesi membri, il 15 ottobre la Spagna dovrà presentare la propria legge finanziaria per il 2017 alla Commissione europea, e depositerà per l’occasione soltanto una “proroga” della finanziaria 2016.
IL PROBLEMA DEI VINCOLI
Dopo aver schivato le sanzioni già a luglio (2,2 miliardi, ma si è optato per simbolici 100 milioni) per mancato rispetto degli obiettivi fissati, il governo “per gli affari correnti” di Mariano Rajoy trova anche in questa fase una Commissione europea “ragionevolmente comprensiva”, come sta avvenendo nei confronti di numerosi Paesi membri. Per Jyrki Katainen, vicepresidente della Commissione, è già importante tenere la spesa pubblica nazionale e regionale sotto controllo, in attesa di una legge finanziaria “completa” da parte del prossimo governo, che si troverà davanti a una manovra correttiva di 10 miliardi, ripartiti tra 2016 e 2017. Per intanto la Commissione sospenderà l’impiego dei fondi strutturali per un importo di 1,2 miliardi, cercando di farne una sanzione di minimo impatto: senza effetti sulle fasce sociali deboli, limitata nel tempo, più di competenza che di cassa, per fare in modo che un’ulteriore riduzione degli investimenti non abbia effetto sul pil. Venerdì 30 settembre, il governo Rajoy ha approvato un nuovo funzionamento degli anticipi dell’imposta sulle società che dovrebbe aumentare il gettito per circa 8 miliardi, nel tentativo di contenere il rapporto deficit/pil nel 2016 entro il 4,6 per cento, con un pil al 3,2 per cento, secondo le stime della Banca centrale spagnola.
LA POLITICA
Con questi vincoli finanziari, con le altre nubi europee – dalla Brexit alla sicurezza interna e esterna – con la Russia di Putin che il 24 settembre ha organizzato a Mosca un Forum per secessionisti, compresi quelli catalani, le dimissioni di Pedro Sánchez aprono la strada a un sostegno socialista a un governo Rajoy in un contesto interno che rimane difficile ma gestibile. La sinistra radicale, da Izquierda Unida a Podemos, ha lamentato lo spostamento a destra del Psoe, ma in prospettiva tende all’isolamento, in uno scenario non dissimile da quello italiano. Alla sinistra perdente del Psoe rimane la protesta contro il “vecchio partito”, contro cui ha resistito dopo un braccio di ferro passato dalle dimissioni di 17 membri dalla direzione, e poi da un voto al comitato federale che Sánchez ha concesso solo dopo 11 ore di riunione, registrando una sconfitta con 132 voti a 107. Rispetto al clima incandescente, il quotidiano El Pais, il 2 ottobre, ha subito fatto un appello all’unità: nessuna possibilità di dar vita a un governo alternativo (con Podemos e Izquierda Unida) com’era nelle speranze di Sánchez e inutile pensare a fratture ulteriori nel partito, con 52 seggi in meno dei Popolari. Nel partito, in attesa del prossimo congresso guidato da Javier Fernández, presidente della regione delle Asturie, si tratterà di capire come emergeranno le proposte politiche per un nuovo governo in Spagna.
3 ottobre 2016 su Formiche